Combatto
contro la voglia di cominciare a scrivere ponendo una domanda.
Lascio ,
come sempre, che quella parte di me che non viene fuori quando parlo scriva.
La penna ha
accesso a parti di me che non conosco.
Penso molto
in questi giorni e non riesco a fare altro.
Mi interrogo
sull’inutilità d’essere un superuomo che distrugge ogni equilibrio che crea e
mi chiedo il perché io non riesca a fare a meno di cercarlo se ho nausea della
vita.
Perché
affannarsi per vivere meglio se l’unico desiderio che si ha è quello di morire?
Dal momento
del nostro primo vagito intraprendiamo la strada che inevitabilmente ci porterà
alla morte; ed io che sono nata suicida , vivo al contrario?
Amerò la
vita solo quando morirò?
Sento , in
maniera vivida, che questo è uno di quei momenti (vista la durata non
quantificabile sarebbe più corretto usare il termine “periodo” ma mi concedo
qualche ottimistica licenza poetica) in cui desidero ardentemente che tutto
finisca (insieme alla vita anche il mio uso eccessivo degli avverbi).
Stasera la
musica mi deconcentra.
Lavoro,
respiro e vivo come se lo facessi per gli altri ma sicuramente non per me
stessa.
Ho l’anima
in riserva ed il cuore anche se riuscisse a partire non saprebbe dove andare.
Sono
arrivata alla conclusione che accetterò il fallimento e l’ennesima perdita per
cercare di dare uno scossone alla mia staticità.
I passi che
facciamo incontro al passato ci illudono facendoci credere che ciò sia
movimento ma è solo staticità attiva.
Quante
cancellature, quanta confusione, quanti pensieri che si affollano su questa
papermate magica.
Mi piace
vedere le mie penne come delle medium capaci di comunicare con i fantasmi della
mia mente.
Ad alcuni ho
dato dei nomi(sì ho precedenti di malattie mentali in famiglia):
Osvaldo è
colui il quale boccaccescamente parla di culi e uccelli;
Sofia si
interroga spesso sulla propria natura, è più vicina all’esteta di Kierkegaard
oppure è semplicemente un’egodistonica fallita e se invece fosse una schizoide?
Circe è
perennemente innamorata ed ogni nuovo amore è sempre quello giusto e rigorosamente
diverso dal precedente: “tutti coglioni speciali” commenterebbe Osvaldo.
Didi, simile
ad una depresse suicida, odia tutti gli altri e li giudica superficiali e poco
interessanti: cerca di soffocare con modi gentili il rude Osvaldo, distrae
Sofia con letture leggere e compagnie poco stimolanti , getta Circe in un profondo
pessimismo ponendole ogni volta davanti tutti i suoi miseri fallimenti.
Didi è una
desiderio di morte così forte che vorrebbe vivere autonomamente.
E’ stanca
della cazzoneria di Osvaldo che svilisce l’innamoramento di Circe, è stanca
della remissività filosofia di Sofia che invece di camminare pensa ai passi che
dovrà fare.
Didi non
vuole più essere quella che scrive.
Da oggi,
dice, si rifiuterà categoricamente ci raccogliere le lacrime dell’eterna
innamorata, non sarà più la voce delle insicurezze della filosofa , smetterà d’essere
magnanima e gentile con quel finocchio sboccato.
Oggi Didi ha
comprato una pistola, chi sarà il primo a morire?