Sempre Settembre, con il suo cielo umido e splendete; sempre il solito paesaggio con
le solite luci ; sempre la solita sedia , la stessa candela da almeno tre anni
, una nuova penna e un tanto agognata serata fresca.
L’estate è
finita ed io parlo del tempo perché la mia moleskine mi è ormai estranea tanto
quanto la tizia del quarto piano con la quale condivido solo l’aria rarefatta
dell’ascensore.
Non so se
vorrei più fumare o cantare.
Ho di nuovo
la tosse , ma io ho sempre la tosse, e comincio a pensare che non mi passerà
mai.
Cosa mi ha
fatto smettere di scrivere?
Il blog
deturpato da una serie di malati di mente o l’amore che per manifestarsi ha
voluto in cambio la convinzione fittizia di possedere un’arte che razionalmente
so di non poter mai neanche sfiorare con uno sguardo fugace.
“Certo per
te non è difficile , tu sei brava con le parole” . Eppure io non so parlare e l’ansia
delle virgole sbagliate prima o poi mi ucciderà . O mi ucciderà prima la tosse?
Forse non
scrivo perché ho perso il contatto con il destinatario ; con la mia anima ormai
non parlo più.
Mi sembra di
non aver fatto niente in questi mesi , come se non avessi pensato.
Ero felice
quando ero triste ora non so più cosa sento e sono triste in un modo che non so
gestire, in un modo che non mi rende felice, mi rende solo indefinita.
E mi
racconto così .
“ Camminavo
lungo una strada della quale non riuscivo a distinguere i dettagli , non saprei
dire se fosse un viale alberato o Macondo dopo 4 anni undici mesi e due giorni
di pioggia .
Io camminavo
e non vedevo nulla ma sporadicamente avvertivo invadenti presenze passarmi
vicino e l’unica cosa che desideravo era avere un barattolo di marmellata nel
quale racchiudere le loro voci per poi riascoltare, addolcite e stagionate, una
volta arrivata a destinazione.
Io camminavo
e di tanto in tanto mi voltavo per
vedere, con il cuore pieno di orgoglio, quanta strada avevo già fatto.
Ogni volta
che mi guardavo alle spalle trovato dietro di me una strada sporca, trascurata, ricca di robaccia abbandonata senza cura e puntualmente mi chiedevo come fossi
riuscita, senza neanche rendermene conto, ad evitare tutti questi ostacoli che
avrebbero potuto farmi cadere o ferirmi.
Ed io
camminavo e non mi importava realmente , camminavo e basta.
Una volta al
giorno mi fermavo per fumare una sigaretta e fissare la luce di una candela che
mi portavo sempre dietro per compagnia.
La cera che
scivolava, e si faceva strada fra il fogliame che si raccoglieva ai bordi della
strada, mi ricordava il fluire dei miei passi e mi dava la forza di riprendere
a camminare.
Mi resi
conto solo dopo molto tempo che spesso i paesaggi si ripetevano , seppur
invecchiati , erano sempre gli stessi così come le parole delle voci che sembravano voler
dire qualcosa di importante vista la forza e la costanza con la quale le
presenze intollerabili le ripetevano.
Stavo
girando intorno o semplicemente la stanchezza del viaggio mi faceva vedere
ormai tutto uguale? Io però camminavo e poco dopo smisi di pormi domande sul
paesaggio e cominciai, per distrarmi dai pensieri, a pulire dove la cera
sporcava.
Il giorno
dopo però, quando mi sedevo per fumare la mia solita sigaretta trovavo sempre
una macchia di cera : qualcuno era passato da lì prima di me?
Io
camminavo, con o senza domande, io camminavo e continuavo a camminare anche se
non trovavo risposte.
Mi bruciai
le dita per pulire fin quando non mi stancai anche di questo e allora smisi di
accendere la candela con la consapevolezza che presto avrei smesso anche di
camminare.
Avrei
trovato una capanna di fango, che odorava di biscotti, nella quale mi sarei
fermata per riposare , presto avrei dormito su un letto vero, molto presto ne
ero sicura ma intanto io camminavo”