Vivere in emergenza anestetizza l'anima

Vivere in emergenza anestetizza l'anima

martedì 17 settembre 2013

L'entusiasmo innamorato







Molto tempo fa un elettricista annoiato sparò al mio Entusiasmo.
Curai la sua ferita soffiandoci sopra e coprendola con un cerotto lasciando il proiettile volutamente all’interno per evitargli una morte certa.
Chiunque si avvicinasse abbastanza da notare il rattoppo sbirciava curiosamente per poi scappare impaurito urlando”ma che orrore”.
Decisi allora che era tempo di cambiare strategia : dovevo proteggere la voragine senza ricucirla.
Misi un cerotto più grande e quindi più visibile ma meno semplice da rimuovere.
Quando la ferita stava per rimarginarsi un passante casuale mi chiese cosa fosse successo al mio Entusiasmo e nello strappare il cerotto per dare una sbirciatina tirò via il frutto del duro lavoro di miliardi di piastrine operose ;
Vide il sangue e poi scappò.
Decisi allora di curarlo con più attenzione e così comprai tutto l’occorrente per fare una fasciatura.
Lo bendai così bene che era quasi irriconoscibile.
La nuova bendatura era decisamente molto visibile ma gli avventori casuali , scoraggiati dall’impegno che ci sarebbe voluto per scoprire l’arcano mistero, non osarono più chiedere di dare una sbirciatina nonostante cercassero di indagare incuriositi in altri modi.
Una notte, mentre io ed il mio Entusiasmo camminavamo a ritmo di noia, incontrammo un giovane che, con il viso colmo di cerottini un po’ scollati, catturò la nostra attenzione.
Ci fermammo e cercammo di soccorrerlo nonostante l’Entusiasmo fosse sfinito dal suo dolore cronico ed io non avessi, come sempre, voglia di perdere tempo.
Lo ospitammo a casa nostra per diverse settimane e nelle ore in cui il nuovo cucciolo dormiva ci chiedevamo stupiti la ragione per cui non si informasse sull’origine di quel bendaggio .
Capimmo solo dopo molto tempo che il ragazzo era troppo preso dalle proprie ferite per potersi accorgere di quelle degli altri.
Visto che intanto la ferita si era ormai rimarginata , decidemmo di comune accordo di tornare ad un banale cerotto da banco e sicuri ormai d’aver superato il peggio mostrammo la cheloide al nuovo amico che prima la toccò incuriosito poi ci sorrise , prese i suoi bagagli , ci svuotò il frigo e scappo via veloce.
Il giorno successovo il mio Entusiasmo, disperato, corse a cercarlo perché si era perdutamente innamorato, dopo molto tempo, di quell’anima ferita e di essa non poteva più fare a meno.
Non ritrovandolo tornò a casa sconfitto e prese un coltello , distrusse la cheloide , riaprì la ferita e ci mise sopra un cerotto.
Questa notte, nonostante avesse sonno , non riuscendo a dormire mi chiamò dicendo :” avrò anche un aspetto turpe, sarò irrimediabilmente segnato e ferito ma amo , soffro e vivo oggi però vorrei morire perché soffrire ed amare sono...” a quel punto mi addormentai e smisi egoisticamente di ascoltarlo ripromettendomi che avrei cercato ovunque quel profilo francese che ci aveva fatto vivere ed innamorare ancora.

lunedì 16 settembre 2013

Passeggio a tempo di noia




E’ una di quelle sere in cui ho noia di tutto e nonostante provi a distrarmi dal tedio, l’anima sbadiglia.
E’ una irrequietezza profonda che non mi permette quasi di respirare.
Provo noia pure a scrivere e quindi lascerò che la mia mente si occupi di altro.
Forse è pensare che mi annoia.

venerdì 13 settembre 2013

Oggi soffro perché non so soffrire

Non so neanche che giorno sia oggi e non credo mi interessi.
Gli essere umani dotati di poca sensibilità sono convinti che il riuscire a razionalizzare il dolore e il non strapparsi i capelli bagnati di pianto equivalga ad un invito, paragonabile a quel che si presume sia scritto sui secchetti di carta degli aerei : “vomita qui”.
Non mi lancio mai in urla di dolore ed i miei occhi asciutti appaiono spesso vuoti, freddi, insensibili e cinici.
Io soffro due volte : per la vita che mi scivola fra le dita come se fosse finissima sabbia e soffro per l’incapacità di esprimere il mio dolore con un linguaggio comprensibile a tutti.
Ma poi perché dovrei farmi capire da chi non capisce neanche se stesso?
Continuo a fare parte, nonostante tutto, di quella cerchia, sempre più ristretta, di persone che sono più attratte dalla parte ombrosa della luna.
Oggi voglio essere presuntuosa.
Scrivo rabbiosamente perché è così che io soffro, io non piango, io mi incazzo e scrivo.
C’è chi vive con l’ansia delle conclusioni(e dimmi tu se questa è vita) , chi deve necessariamente vedere come va a finire.
A me piacciono le porte aperte, le cose lasciate a metà, mi piace riempire tutte le pagine della moleskine ma lasciare l’ultima bianca.
Ho bisogno di una casa piena ma con la porta aperta.
Ho bisogno di lasciare ancora da fumare prima di gettare la sigaretta.
Io non ho l’ansia della fine perché le conclusioni non mi piacciono.
Non finisco mai ciò che comincio non per pigrizia ma per filosofia di vita, io vivo per procrastinare.
Non riesco ad accettare il concetto della fine necessaria ed è per questo che non smetto di girare le mie sigarette nonostante sappia che in 4 minuti il mio lavoro sarà letteralmente ridotto in cenere.
A me non piacciono le conclusioni, preferisco lasciare il barattolo della marmellata quasi vuoto in frigo, lascio l’ultimo boccone nel piatto, sono gentile anche con chi mi fa male perché fatico a credere che la gente non sia come me.
Fatico anche a scrivere, oggi sono razionalmente irrazionale.
Oggi sono arrabbiata perché non so rendermi sufficientemente patetica perché il mio dolore possa essere preso in considerazione.
Oggi soffro perché non so soffrire.
Oggi sto bene ma sto bene a modo mio.

Non serve parlare


   Ci sono giorni in cui ti trovi a scrivere seguendo il tremolio di una candela che hai acceso per rendere meno squallida la tua serata.
I pensieri sono fluidi ma la penna si ferma troppo ed hai già dimenticato la ragione per cui hai preso carta e penna ed hai iniziato a scrivere.
Fumi voracemente la tua sigaretta che sulle labbra ti lascia lo stesso sapore di tabacco bruciato che senti ogni volta che pensi all’inutilità della tua vita che conduci ormai con poca grazia.
Scrivi e dimentichi le virgole e non capisci più se lo fai per ignoranza, vezzo o fretta.
Ascolti il canto delle cicale e pensi d’essere perso in una casa di campagna invece poi passa un’auto o senti il volume troppo alto della tv di un vicino e ti ricordi con rammarico dove vivi.
Se non ci fosse caldo penseresti che sia natale visto che il vuoto malinconico e triste che hai dentro è lo stesso che avverti in quei giorni di festa.
“Non sento nulla” – dicono alcuni senza rendersi conto che dentro quel “nulla” c’è la confusione del “tutto” che a molti manca.
Dovremmo allora dire “sento tutto” ma passeremmo per puttane ingorde agli occhi di chi non riesce a distinguere ciò che sente.
Quando inizi a cancellare, a correggere, ad avere dubbi sull’ortografia prendi consapevolezza del fatto che hai smesso di scrivere per te stesso e senti, questa volta in maniera nitida, l’esigenza d’essere compreso e di reinventarti buon samaritano perché come misantropo hai fallito.
Giochi con la cera calda perché ti fa sentire un dio capace di plasmare la materia e di sopportare il dolore senza urla di disperazione.
Ti torna ora in mente la voglia masochista di fumare , di lasciarti andare a quell’unico vizio e piacere che ti sei sempre concesso con vergognoso compiacimento.
L’odore mandorlato dell’inchiostro della tua penna ti ricorda il detersivo che la nonna usava per pulire il cesso ma ciò che vorresti sentire adesso è il profumo di mandorle amare che il tuo corpo esanime e sfatto sprigiona perché saturo del veleno che la vita ti ha costretto ad ingerire sin dal giorno del tuo primo vagito.
Ora sei costretto a scegliere: fumi o scrivi?
Decidi di fumare e di riprendere a scrivere subito dopo.
Nonostante tu tenga la sigaretta con la mano sinistra non riesci a scrivere e fumare contemporaneamente perché senti la strana esigenza di tenere stretto fra le dita della mano destra l’accendino;
Se solo riuscissi a farlo sapresti eguagliare il dolce di piacere che si prova nel fare l’amore : due passioni che confluiscono in un unico corpo.
Noti che quando commetti un errore non ti basta passarci sopra con la penna una sola volta ma senti il bisogno di farlo ripetutamente nella speranza inconscia di eliminare per sempre dalla tua mente quel passaggio inutile che, beffardo, rimarrà impresso più delle parole ritenute giuste ed adeguate;
Ha così inizio la lotta fra la mente bugiarda e la vita ingenua.
Affermando ciò si rischia di inciampare nel banale paradosso che instilla in noi il dubbio di una vita furba che si beffa a sua volta di una mente che pretende di mostrarla innocente.
In mezzo ci sei tu che non sai neanche più se il dolore che senti sia reale o solo fumo negli occhi gettato da quelle due bastarde che per manipolarti ti confondono.
Prima o poi però sarai costretto a reagire ed uscire da quello sgabuzzino , ormai pieno di fumo, nel quale eri entrano per non essere travolto da quella lotta intestina per il potere che ormai ti ha però inevitabilmente condizionato.
Qualcosa di vero in te è rimasto?
Forse solo il colore delle sopracciglia che un giorno probabilmente tingerai per fingere d’essere più giovane nonostante l’odore di stantio della tua anima si senta già da adesso.

Si deve necessariamente dare un titolo a ciò che si scrive?

Le luci violacee che si intravedevano attraverso le bianche nuvole posate artificialmente su quel cielo nero mi fecero pensare alla mia anima che per sfuggire al tedio, con il quale si copre per non sentir freddo, mandava segnali colorati per mostrare quanto ancora fosse viva. Fra fulmini e saette io e lui ci avvicinammo poco più che spensierati al soddisfacimento di un desiderio che non eravamo ancora consapevoli di possedere. Lasciammo che i nostri corpi si unissero e si amassero in maniera sporca e godereccia per riempiere i silenzi che in maniera imbarazzante ci avevano sopresi impreparati. Godevo ma a godere era solo il corpo, la mente era ancora ferma a contemplare le luci delle nuvole in festa.
Gli occhi miei che fingevano piacere non vedevano nulla che non fossero le luci violacee del cielo poco prima contemplato. Non desideravo d’essere altrove e non fu fisicamente frustrante od umiliante fu solo uno di quei momenti in cui non si riesce bene a quantificare il tempo effettivamente trascorso. Ci fu una discrepanza sostanziale fra il tempo dell’orologio e la durata effettiva dell’evento. Non saprei neanche dire se durò troppo o troppo poco , forse terminò semplicemente nel momento in cui era giusto che finisse.
Le luci erano ancora nella mia testa mentre cercavo i miei slip fra i vestiti gettati distrattamente sul pavimento.Me li porse gentilmente lui sussurrandomi all’orecchio d’aver gradito molto il mio sapore delicato ed io mi premurai di ringraziare nonostante non potessi fare a meno di pensare che la sua voce mi irritava anche quando pronunciava parole di complimento. Mentre attendevo che si mettesse in ordine continuavo a chiedermi se quel cielo sarebbe stato ugualmente affascinante senza quelle coperte di spuma bianca.
In quel momento realizzai che avrei solo voluto te, il tuo silenzio,la tua risata, il ticchettio stonato del tuo orologio e il tuo profumo che non conosco ma sento costantemente invadermi le narici. Ti avrei preso per mano amore mio, avrei aperto per te una piccola sedia in legno con le giunture cigolanti, l’avrei sistemata bene con i piedini che sprofondavano fra i vapori della nuvola dalla quale avresti potuto osservare da vicino la vita di un’anima per noi ormai morta da tempo.

La filosofia del sigma

La diociottesima lettera dell’alfabeto greco è l’unica a possedere due diversi simboli( per quanto riguarda la scrittura in minuscolo) a seconda della posizione che occupa.
Quando il sigma si trova all’interno della parola il simbolo appare come un sei disteso sulla pancia mentre quando è alla fine è analoga alla nostra S maiuscola con la gobba che tende verso sinistra più prominente rispetto a quella che si estende verso destra.
Ci ritroviamo quindi con un sigma interno che si rannicchia e riposa ed uno esterno che sembra stiracchiarsi dopo una lunga dormita.
L’uomo, animale sociale, si comporta in maniera analoga al sigma greco.
Quando si trova fra la gente si mostra in modo diverso rispetto a quando è solo od in compagnia di un singolo individuo ; nel caso del sigma l’individuo che può ammirare la natura aperta del simbolo è la lettera che lo precede o la prima della parola successiva.
Come accade spesso non si ha l’effettiva consapevolezza del cambiamento in quanto il sigma mantiene la stessa fonetica e l’uomo la sua essenza di uomo.
Il suono non cambia,la natura rimane costante e ciò che muta è la mera apparenza.
Un terzo sigma , meno frequente ma ugualmente rilevante, possiamo trovarlo ad inizio di parola quando è necessario l’utilizzo di della lettera maiuscola.
I due sigma, deboli rispetto al terzo, appaiono morbidi e tondeggianti mentre l’ultimo, che ha una natura forte e dominante, è spigoloso.
Appare anch’esso aperto ma le sue gobbe ora , invece di formare due semicerchi, creano triangoli aperti i cui vertici coincidono con le sporgenze una superiore ed una inferiore.
Dalla forma armonica e geometrica domina non solo l’intera parola ma anche il periodo a cui da inizio o sottolinea l’importanza di un sostantivo.
Il sigma forte mostra la sua natura solo a colui il quale decide di seguirlo perché è verso di esso che con durezza si manifesta.
Giungiamo così ad una prima conclusione che vede l’uomo indossare tre principali maschere a seconda del contesto in cui si trova inserito; forte e deciso quando ha consapevolezza d’essere l’origine o la parte dominante, chiuso e debole quando si trova circondato da altri individui , aperto e sinuoso quando non teme di mostrarsi e ha il giusto spazio per esplicare al meglio la propria natura.
Per comprendere la filosofia del sigma è altresì importante soffermarsi su un banale aneddoto che mi riguarda.
Durante la prima lezione di greco l’insegnante mi chiese di scrivere il mio nome con i nuovi caratteri imparati seguendo ovviamente le regole che mi aveva insegnato.
Dopo aver scritto i primi quattro simboli dovetti necessariamente fermarmi a riflettere su che tipo di sigma debole inserire, se uno debole chiuso od uno debole aperto.
Il mio nome , Denise, essendo francese segue regole di pronuncia diverse da quelle greche e la “e” muta a fine parola mi causò un turbamento non indifferente.
A rigor di logica essendo il sigma seguito da una epsilon doveva essere chiuso pur sentendosi aperto e sinuoso come un sigma non accompagnato od osservato.
Arriviamo così all’ulteriore conclusione che ci sono casi in cui l’uomo si sente aperto e vulnerabile capace di potersi esprimere in totale libertà solo perché la lettera che lo accompagna tace.

Il ficus

Guardavo quelle radici invadere la mia casa e non riuscivo a liberarmene come se ormai fossero un tuttuno con le fondamenta.

Tirando le fronde la casa si inclinava e tornava tutto al suo posto quando smettevo di provare a liberarmi da questo enorme ficus.

Mi sentivo soffocare ma lui era ormai parte di me e nonostante mi facesse vivere al buio non riuscivo a sdradicarlo.

Iniziai a tagliare i rami più piccoli che coprivano le finestre del secondo piano, sanguinante continuavo a segare e raccogliere fogliame.

La luce entrava flebile e non riuscivo neanche a vedere la mia immagine riflessa nello specchio della camera da letto.

Continuavo giorno e notte ed il mio unico obiettivo era ormai diventato solo quello di riportare la luce nella mia vita.

Dopo una settimana di duro lavoro notai che per ogni ramo tagliato dieci nuove gemme nascevano e i rami crescevano più folti e forti di prima.

Non capivo cosa fosse più forte, se la mia voglia di luce o la sua voglia di vivere.

In fine mi arresi e decisa ormai a subire il volere della natura curai le ferite sulle mie mani e andai a dormire.

Dopo qualche giorno mi accorsi che il ficus cominciava a perdere vigore.

Le foglie ingiallite mi facevano pensare ad un autunno prematuro nonostante fosse appena Giugno.

Con il passare dei giorni le finestre iniziarono a liberarsi e la luce cominciò ad entrare in casa, dovetti comprare persino delle tende perché al primo sole mi sveglivo inondata di luce.

Una mattina , guardandomi allo specchio della camera da letto, vidi finalmente la mia immagine riflessa ed iniziai a piangere, smisi solo dopo aver piantato un nuovo ficus nel solco lasciato da quello che per anni mi aveva protetto da me stessa.

L'inquietudine

L'idea di tutti gli ideali ,per me odora di freddo , di dolore : ha l'odore di quando le strade sono impossibili.