Ho le mani
fredde ed in genere mi capita quando mi lascio sopraffare dall’isteria
femminea.
Sorrido
scrivendo perché lo trovo ironico : sono donna e da donna mi comporto.
Nel corso di
questi ultimi anni ho preso consapevolezza di ciò che posso e non posso
prevedere.
Per quanto
io forte possa sembrare continuo a voltarmi verso il telefono per controllare
se sia acceso; è il telefono guasto o il cuore?
Il cuore un
po’ duole ma li chiamano malanni di stagione.
Andare giù è
un secondo, pensare di buttarsi via un minuto, accettare che sia arrivato il
momento di farlo è più faticoso.
E continuo a
voltarmi sperando che si accenda.
Ciò che più
odio di me è la capacità di prevedere le situazioni ma non le mie reazioni , mi
sopravvaluto ogni volta.
Ho le mani
fredde e non c’è niente che riesca a scaldarle.
Pensando di
non essermi voltata abbastanza ho lasciato la sedia per controllare il
telefono, e mi volto di nuovo.
Il problema
non è il mondo, il problema sono io e sobbalzo sentendo uno squillo ma è solo
la musica che sto ascoltando e che ho messo su per illudermi che il telefono
non suona solo perché è lontano e non lo sento : ho mal di testa.
Mi pongo
sempre obiettivi irraggiungibili?
Potrei
ignorare il mal di testa, le mani fredde i pensieri e il male al cuore e
fingere di non sentire nulla.
Potrei
ignorare il brusio nella mia mente, la nausea per la vita , potrei ignorare il
tintinnio fastidioso che fanno le dita nervose che sbattono sulla scrivania in
rovere moro.
Potrei non
cedere all’impulso di voltarmi per controllare il telefono , potrei andare giù,
potrei piangere : ma io non piango quando le parole cadono sul foglio come se
fossero lacrime , come se dalla penna uscissero direttamente dall’anima.
E poi mi
dicono che non scrivo di stomaco, forse è perché non vivo con il culo?
Non riesco a
starmene tranquilla e sto a riempire pagine e pagine di parole che si
intervallano a fugaci sguardi vero un telefono che resta muto.
Adesso andrò
a fumare la duecentesima sigaretta della giornata sperando che uno stormo di
uccelli notturni mi rapisca per pietà.
Sono le quattro del mattino ed io non riesco a prendere
sonno perché ho un pensiero fisso : la grammatica italiana è formidabile.
Sono arrivata ad un livello di insicurezza tale che per
parlare con qualcuno ,che mi imbarazza solo guardandomi negli occhi ,
sottolineo gli errori ortografici del menù di un pub.
Questa non è una delle mie solite metafore , sono arrivata a
farlo davvero.
Le quattro del mattino , l’angoscia e un po’ di vino.
Circa un anno fa mi trovai a consolare un amico dicendo : “domani
troverai la donna della tua vita proprio sotto casa” ; lui carinamente mi
rispose :” è più probabile che capiti a te”.
Il giorno dopo ,dimenticando ciò che ci eravamo detti, uscii
senza curare troppo il mio aspetto , sempre convinta che un cesso resti cesso
anche con la tazza in oro zecchino.
Sotto casa vicino al parcheggio vedi un uomo bellissimo e
pensai”quanto vorrei che fossi tu l’uomo della mia vita”, pensiero colmo di
pessimismo e sfiducia, sempre in linea con il mio essere.
Dirigendomi verso l’auto fui costretta a passargli vicino e
lui inaspettatamente pronunciò il mio nome(che solo chi mi conosce poco
utilizza ancora) .
Lui apparve felice di rivedermi e continuò ripetutamente a
chiedermi se mi ricordassi degli anni passati insieme a scuola.
In quel momento non solo non riuscii a mettere due parole una
dietro l’altra in maniera sensata ma l’unica cosa a cui pensai fu : “è
impossibile che io ti conosca , se conoscessi un uomo così bello me lo ricorderei
, sarai mica davvero l’uomo della mia vita”.
Ottimismo durato giusto il tempo di arrossire e solo il
senso di inadeguatezza e timidezza mi riportarono lontano dalla nuvola sulla
quale viaggiavo sognando.
Dopo ore ricordai chi avevo incrociato e mi tornò in mente
che lui mi face impazzire ed arrossire già 11 anni prima.
Il suo riconoscermi così dopo tanti anni, non mi lusingò, mi
fece pensare a quanto fossi fisicamente rimasta statica anche nei difetti che
lui invece aveva evidentemente superato negli anni.
Esattamente una settimana fa mi capitò di rivederlo per caso
e lui finse(?) di non ricordare il mio nome ma di ricordarsi di me, io sempre con
la faccia da ebete stordita stantai a riconoscerlo e questa sera grazie all’ignoranza
di chi scrive”arancie” son riuscita finalmente a dirgli qualche parola che non
fosse un semplice e timido”uhm ricordo vagamente”.
La storia si conclude qui senza alcun finale romantico da film...ma chi mai ci sperava?
Questa notte, più delle altre passate a scrivere, parlo di
me, di una me che ha scoperto da qualche mese di possedere delle ossa che era
convinta di non avere;
di una me che si chiede , con il sangue fra i capelli, se il
treno sta partendo o non è ancora partito.
A scrivere non è più la ragazzina timida che aveva paura
anche a comprar le sigarette, a scrivere è una me che non sa ancora cosa sia ma
ha la consapevolezza di quel che era e non vuole più essere.
Scrive una Denise che non si riconosce più in un nome che
non sente mai pronunciare, che si sente più una Didi che attende Gogo per
sperare insieme che prima o poi arrivi Godot.
Ma perché dovrei provar vergogna nello scrivere banalità?
Tanto più una cosa è bella tanto più è insopportabile ed
insostenibile la sua assenza.
Il pensiero arriva e come un serpente a sonagli vibra e con
un morso delicato ti avvelena il cuore.
E sei duplice davanti al dolore contro cui lotti che ti
spacca il petto in due : desideri liberarti dal peso di un ricordo ormai logoro
ed ingombrante ma l’attaccamento alla speranza vana di un ritorno non ti
permette di lasciarlo andare via per sempre, sarebbe come cedere all’ennesimo
fallimento.
Trasformato ormai in un fantasma ossessivo e depresso odi
persino l’ingenuità delle stelle.
Vorresti spegnerle tutte perché non sopporti il loro sguardo
speranzoso e il lo sbrilluccicare che ti ricorda con quanta dolcezza e
delicatezza la sua luce sia entrata dentro di te.
La tua sigaretta sembra prenderti per il culo decidendo di
cambiare sapore : ti sembra di fumare palloncini sgonfi.
E’ insopportabile questa luce, spegnete le stelle vi prego
non voglio più vederle.
Le farfalle allo stomaco non sono un sintomo d’amore ma un
mero movimento intestinale con il quale il corpo ti avvisa che sei
irrimediabilmente nella merda.
Dio quanto è triste la luna quando sei innamorato, dio
quanto è triste la luna quando aspetto che ritorni.
Vorrei annegare nella Senna insieme a tutte le stelle dell’universo(ma
il sole ve lo lascio).
La distanza incolmabile che separa la mente dalle dita mi
rende quasi impossibile disporre in maniera sensata le lettere sul foglio.
L’uomo rotondo che eri e che desideri d’essere con tutto te
stesso si allontana dalle tue mani come un palloncino gonfiato ad elio ;
Osservi il cielo guardandolo allontanarsi da te senza
neanche sforzarti di riprenderlo perché ormai troppo lontano pure per gli
occhi.
Sempre più piccolo ti guarda e sorride , fluttua in
quell’aria densa che gli permette di galleggiare ma che presto lo ucciderà
esplodendolo.
Il collo duole per lo sforzo che gli viene imposto da una
testa troppo pesante che si ostina a guardare il cielo invece di abbandonarsi
alla sua natura terrena.
Sforzandoti di dimenticarlo, allora, ne compri un altro
nella speranza che non voli via di nuovo, lo tieni con cura in casa , lontano
da quel cielo che affascina entrambi.
Giorno dopo giorno noti che comincia a perdere vigore ,
sempre più vicino al suolo perde la sua natura speciale.
Maturi il desiderio di poter volare e convincendoti che
basti ingerire un po’ di quel gas magico lo privi di quel poco di vita che
ancora gli rimane.
Ti ritrovi così deluso e con la voce da stupido che ti ricorda
quanto ancora tu sia fortemente immaturo.
Arrivi alla conclusione che per imparare a volare bisogna
saper morire.
Moriamo ogni volta che il nostro desiderio di rotondità e
perfezione ci porta ad unire la nostra anima con quella di un essere lontano dalla
nostra natura di seleniti.
Rinasciamo sempre più pesanti e pieni di ferite che non
lasciano spazio all’elio che ci permetterebbe di volare.Solo un sorso di Lete potrebbe salvarci lobotomizzandoci
l’anima.
Ma dopo mille morti della vita cosa resta se non un
palloncino sgonfio che timidamente stringi fra le mani?